Como: sinistra afasica e cricca lumbard

Anche da noi c’è un pezzo di società (di “ceto medio riflessivo”?) che si sente assediato di fronte a un senso comune che sembra un pack impermeabile a qualsiasi sollecitazione e in grado di anestetizzare anche notizie ed eventi che in altri tempi avrebbero suscitato reazioni corali, uno sdegno generale o quantomeno perplessità diffuse.

I barconi alla deriva con il loro carico di morti? Muoiano a casa loro. La truffa colossale della Lega ai danni dello Stato? Tutta colpa di Bossi, roba di altri tempi. Dal governo sono quasi sparite le donne? Chi se ne importa? Il Parlamento eletto quattro mesi fa non ha ancora esaminato alcuna proposta del governo? Lasciamoli lavorare. Nemmeno serve citare i dati: né quelli di Boeri sui conti dell’Inps e sull’apporto dei lavoratori immigrati né quelli che parlano di una riduzione degli sbarchi del 70 percento, né quelli sulla riduzione dei crimini né quelli sui conti dello Stato. Certo, a venire allo scoperto è la vacuità della retorica renziana degli anni scorsi, il suo essere fuori sincrono rispetto alla fase dello spirito pubblico. Ma anche i guasti di una “narrazione” della storia repubblicana falsa e poco informata, incapace di cogliere i suoi chiaroscuri, il segno generale di progresso che l’ha caratterizzata per un lungo periodo, le ragioni che hanno determinato la successiva inversione di tendenza. Vengono al pettine, non solo nella condizione materiale del Paese ma anche nell’orientamento maturato nella parte prevalente dell’opinione pubblica, i nodi della crisi italiana già evidenti all’epoca del rapimento di Moro e poi nella distruzione del sistema dei partiti avvenuta agli inizi degli anni “90, il senso del ventennio berlusconiano e la concreta affermazione di un’egemonia culturale – veicolata indifferentemente dai giornali posseduti dai grandi gruppi, dalle piazze vocianti dei programmi televisivi e da una rete fuori controllo – capace di cancellare le responsabilità di una classe dirigente che abdicato al suo ruolo pressoché in tutti campi: dai capi delle grandi aziende che hanno scelto di fare cassa senza produrre sviluppo alle banche che hanno intermediato i processi di finanziarizzazione dell’economia reale, da una scuola sempre meno orientata alla formazione umana e civile a un mondo intellettuale autoreferenziale e conquistato dall’ideologia del riflusso.

Sarebbe però sbagliato immaginare che la buona politica possa alzare le mani in segno di resa in attesa di tempi migliori, consumarsi nelle recriminazioni sul passato, evocare una generica palingenesi teorica (o, peggio, generazionale), rinchiudersi in una discussione del tutto autoreferenziale, riproporre dinamiche di altri tempi (dalle convulsioni incomprensibili del Pd alle liturgie praticate nell’area alla sua “sinistra”). Alla politica si risponde con la politica. Qui e ora, e le pause sono state fin troppo lunghe. E questo riguarda sia lo scenario nazionale sia il livello locale.

Parliamo di Como. E del fatto – drammatico – della sostanziale afasia della “sinistra” sui temi che riguardano la politica locale. Perché non bastano né le pratiche virtuose che spesso finiscono per confermare una vocazione minoritaria né la possibilità che, di volta in volta, movimenti e correnti di opinione formatisi sui diversi temi trovino una sponda (debole, in verità) nei vari spezzoni delle opposizioni consiliari.

Faccio qualche esempio, preso un po’ a caso tra le cose tutt’altro che marginali accadute nelle scorse settimane. Abbiamo assistito – basiti ma non troppo, ma comunque in silenzio – a una dura polemica sulla gestione della divisione di cardiologia dell’ospedale pubblico, in cui sono emersi, insieme, una situazione problematica del reparto ma anche la volontà dell’establishment leghista di andare a un regolamento di conti con la componente ciellina (difesa dalla Cisl) all’interno della sanità comasca. Un episodio che ha squadernato, ancora una volta, il quadro dell’assurda lottizzazione a cui è stata sottoposta la sanità da parte della Regione targata Maroni. Basterebbe rileggere un pezzo di Michele Sada del 2013 su “La Provincia” per rendersene conto. L’incipit era fulminante: “Funziona così. La politica sceglie i direttori generali delle aziende ospedaliere. I direttori scelgono i primari. Quindi, di fatto, la politica sceglie anche i primari”. E giù i nomi, a partire dal fedelissimo Marco Onofri, direttore generale dell’azienda ospedaliera e sempre in prima fila ai raduni leghisti, per arrivare all’ultima nomina, quella del discusso primario di chirurgia, il varesino Roberto Caronno, autorevole membro del “cerchio magico” di Maroni, indagato in una brutta storia costata l’arresto del presidente della Commissione sanità al Pirellone, Fabio Rizzi. “L’Espresso”, nel febbraio 2016, lo citava in un pezzo da titolo eloquente: “Sanità, gli affari segreti della cricca lumbard. Società offshore, affari all’estero, traffici internazionali. Le indagini sulla sanità della procura di Monza scoperchiano una holding del malaffare. Targata Lega”.

Un altro esempio. La nascita della multiutlity del Nord Lombardia. Al di là del merito industriale dell’iniziativa, qualcuno si è reso conto della sostanziale scomparsa di Acsm, diventata un vassallo del colosso A2a? Sono state verificate le ricadute in termini economici e della possibilità di “contare” per il territorio o, piuttosto, ci si è accontentati di incassare gli eventuali dividendi piegandosi a una logica tecnocratica accettando di spostare le leve della società (pubblica) sempre più lontano dalle sedi della decisione democratica? Davvero, stupiscono la leggerezza, il disinteresse della politica locale per il destino di un’azienda creata dai cittadini di Como e dalla storia tutt’altro che banale. Poi non si dica che la responsabilità della marginalità di Como è di qualche parlamentare. Semmai, si tratta di un altro caso in cui amministratori e partiti (del centrodestra) si sono limitati a rispondere “signorsì” agli ordini degli stati maggiori milanesi. Nel silenzio generale.

Un altro ancora. La scelta di Attilio Fontana di rinunciare alla costituzione di una società con Anas e FS per la gestione della mobilità, che ripercussioni è destinata ad avere per il nostro territorio?È bene essere diffidenti. Siamo reduci dal fallimento (anche in senso letterale) dell’operazione Pedemontana e abbiamo dovuto registrare il mancato rispetto degli impegni presi dal centrodestra in campagna elettorale: la prosecuzione della tangenziale di Como e la gratuità della Pedemontana, mentre Trenord continua a realizzare performance da terzo mondo e la mobilità dei centri urbani, a partire dall’area di Como, continua a reggersi sull’uso dell’automobile, senza che stia emergendo alcuna idea sulla realizzazione di nuove reti di trasporto pubblico e sull’efficientamento di quelle esistenti. Il caso di viale Varese è emblematico: la città di fatto è priva sia di un piano del traffico sia di quello della sosta e, nell’immobilismo di una giunta del tutto inconcludente, il tema sul tappeto diventa inevitabilmente il confine tra l’interesse pubblico e quello dei privati proponenti. Che rivendicano – persino con qualche ragione – di avere sollevato il tema di una “riqualificazione” che spetterebbe al Comune di affrontare.

In città, con ogni evidenza, sta sempre più emergendo il tema della sostenibilità. Ma sembra che nessuno se ne stia accorgendo o che sia interessato al problema. Forse perché, per le risorse di questa compagine di governo – ma anche per le opposizioni – presenta una complessità fuori portata: mette in discussione il modello economico, il rapporto tra centro e periferie, le caratteristiche di un turismo in espansione e privo di governo (qualcuno ha valutato l’impatto su mobilità, servizi, infrastrutture, ambiente ecc. della trasformazione indotta dal fenomeno delle case in affitto?).

Dopo oltre un anno trascorso a tentare di stoppare le pulsioni lepeniste di una parte della giunta, sarebbe il caso di essere più netti nel denunciare l’assenza di una visione, il distacco di una giunta e di un Consiglio comunale infarciti di “commissari” venuti da fuori, dalla realtà e dalla storia della città. Le linee di tendenza sembrano chiare. C’è un sindaco che, prima ancora della scadenza del primo anno di mandato, ha anticipato il proposito di non ricandidarsi. Un sindaco dal profilo politico sbiadito che ha finito per diventare presto ostaggio della Lega e che deve fare i conti (lo si è visto anche recentemente sul caso della proposta di affidare gli appalti alla Provincia) con l’insofferenza di FI e FdI. Un disagio che stenta a esprimersi apertamente in termini politici per la percezione dello strapotere leghista. Il che determina, inevitabilmente, una situazione di stallo nelle scelte che contano e nella capacità di progettare un futuro per Como e il tentativo di ritrovare la coesione interna non su contenuti utili ai cittadini ma nelle logiche di potere, nel brutale spoilsystem, in una lottizzazione di enti e società in cui rischiano di emergere figure mediocri. [Emilio Russo]

 

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